NATALE 2014:
AUGURI ALLA CURIA VATICANA E AI DIPENDENTI DELLA SANTA SEDE
E DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO
PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI DELLA CURIA ROMANA
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Sala Clementina – Lunedì, 22 dicembre 2014
La Curia Romana e il Corpo di Cristo
“Tu sei sopra i cherubini, tu che hai cambiato la miserabile condizione del mondo quando ti sei fatto come noi” (Sant’Atanasio)
Cari fratelli,al termine dell’Avvento ci incontriamo per i tradizionali saluti.
Tra qualche giorno avremo la gioia di celebrare il Natale del Signore; l’evento di Dio che si fa uomo per salvare gli uomini; la manifestazione dell’amore di Dio che non si limita a darci qualcosa o a inviarci qualche messaggio o taluni messaggeri ma dona a noi sé stesso; il mistero di Dio che prende su di sé la nostra condizione umana e i nostri peccati per rivelarci la sua Vita divina, la sua grazia immensa e il suo perdono gratuito.
E’ l’appuntamento con Dio che nasce nella povertà della grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà. Infatti, il Natale è anche la festa della luce che non viene accolta dalla gente “eletta” ma dalla gente povera e semplice che aspettava la salvezza del Signore.
Innanzitutto, vorrei augurare a tutti voi – collaboratori, fratelli e sorelle, Rappresentanti pontifici sparsi per il mondo – e a tutti i vostri cari un santo Natale e un felice Anno Nuovo. Desidero ringraziarvi cordialmente, per il vostro impegno quotidiano al servizio della Santa Sede, della Chiesa Cattolica, delle Chiese particolari e del Successore di Pietro.
Essendo noi persone e non numeri o soltanto denominazioni, ricordo in maniera particolare coloro che, durante questo anno, hanno terminato il loro servizio per raggiunti limiti di età o per aver assunto altri ruoli oppure perché sono stati chiamati alla Casa del Padre. Anche a tutti loro e ai loro famigliari va il mio pensiero e gratitudine.
Desidero insieme a voi elevare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno che ci sta lasciando, per gli eventi vissuti e per tutto il bene che Egli ha voluto generosamente compiere attraverso il servizio della Santa Sede, chiedendogli umilmente perdono per le mancanze commesse “in pensieri, parole, opere e omissioni”.
E partendo proprio da questa richiesta di perdono, vorrei che questo nostro incontro e le riflessioni che condividerò con voi diventassero, per tutti noi, un sostegno e uno stimolo a un vero esame di coscienza per preparare il nostro cuore al Santo Natale.
Pensando a questo nostro incontro mi è venuta in mente l’immagine della Chiesa come il Corpo mistico di Gesù Cristo.
È un’espressione che, come ebbe a spiegare il Papa Pio XII, «scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri»[1].
Al riguardo san Paolo scrisse: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1 Cor 12,12)[2].
In questo senso il Concilio Vaticano II ci ricorda che «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cfr. 1 Cor 12,1-11)»[3]. Perciò «Cristo e la Chiesa formano il “Cristo totale” – Christus totus –. La Chiesa è una con Cristo»[4].
E’ bello pensare alla Curia Romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in sé stesso e con Cristo.
In realtà, la Curia Romana è un corpo complesso, composto da tanti Dicasteri, Consigli, Uffici, Tribunali, Commissioni e da numerosi elementi che non hanno tutti il medesimo compito, ma sono coordinati per un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare, nonostante le diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi membri[5].
Comunque, essendo la Curia un corpo dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi. Difatti, la Curia – come la Chiesa – non può vivere senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo[6]. Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate (un formalista, un funzionalista, un mero impiegato): un tralcio che si secca e pian piano muore e viene gettato lontano.
La preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla riconciliazione, il contatto quotidiano con la parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia chiaro a tutti noi che senza di Lui non potremo fare nulla (cfr Gv 15, 8).
Di conseguenza, il rapporto vivo con Dio alimenta e rafforza anche la comunione con gli altri, cioè tanto più siamo intimamente congiunti a Dio tanto più siamo uniti tra di noi perché lo Spirito di Dio unisce e lo spirito del maligno divide.
La Curia è chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la sua missione[7].
Eppure essa, come ogni corpo, come ogni corpo umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità.
E qui vorrei menzionare alcune di queste probabili malattie, malattie curiali.
Sono malattie più abituali nella nostra vita di Curia. Sono malattie e tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore.
Credo che ci aiuterà il “catalogo” delle malattie – sulla strada dei Padri del deserto, che facevano quei cataloghi – di cui parliamo oggi: ci aiuterà a prepararci al Sacramento della Riconciliazione, che sarà un bel passo di tutti noi per prepararci al Natale.
1. La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile” trascurando i necessari e abituali controlli. Una Curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo.
Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfr Lc 12, 13-21) e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti.
Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi[8].
L’antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci peccatori e di dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17, 10).
2. Un’altra: La malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù (cfr Lc 10,38-42).
Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfr Mc 6,31) perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che insegna il Qoèlet che «c’è un tempo per ogni cosa» (3,1-15).
3. C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e un “duro collo” (At 7,51-60); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cfr Eb 3,12).
È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per farci piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono!
È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfr Fil2,5-11) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfr Mt 22,34-40). Essere cristiano, infatti, significa «avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità[9].
4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo.
Quando l’apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscano, diventando così un contabile o un commercialista.
Preparare tutto bene è necessario, ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo, che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana pianificazione (cfr Gv 3,8).
Si cade in questa malattia perché «è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate.
In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo… – addomesticare lo Spirito Santo! – … Egli è freschezza, fantasia, novità»[10].
5. La malattia del cattivo coordinamento.
Quando i membri perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza, diventando un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra.
Quando il piede dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così disagio e scandalo.
6. C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della “storia della salvezza”, della storia personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4).
Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie.
Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non fanno il senso deuteronomico della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé dei muri e delle abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.
7. La malattia della rivalità e della vanagloria[11].
Quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di San Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,1-4).
È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi e a vivere un falso “misticismo” e un falso “quietismo”.
Lo stesso San Paolo li definisce «nemici della Croce di Cristo» perché «si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Fil 3,19).
8. La malattia della schizofrenia esistenziale.
E’ la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare.
Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il servizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete.
Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta. La conversione è alquanto urgente e indispensabile per questa gravissima malattia (cfrLc 15,11-32).
9. La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi.
Di questa malattia ho già parlato tante volte ma mai abbastanza.
E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli.
È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle.
San Paolo ci ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil 2,14-18). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!
10. La malattia di divinizzare i capi: è la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza.
Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cfr Mt 23,8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. Persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo (cfr Gal 5,16-25).
Questa malattia potrebbe colpire anche i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità.
11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri.
Quando ognuno pensa solo a sé stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti.
Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli altri.
Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo.
12. La malattia della faccia funerea.
Ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza.
In realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile[12] sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova.
Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito!
Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili[13].
Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di san Thomas More[14]: io la prego tutti i giorni, mi fa bene.
13. La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro.
In realtà, nulla di materiale potremo portare con noi perché “il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni – anche se sono regali – non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo.
A queste persone il Signore ripete: «Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo … Sii dunque zelante e convertiti» (Ap 3,17-19). L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente!
E penso a un aneddoto: un tempo, i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”.
Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che, mentre caricava su di un camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad osservare: questa sarebbe la “cavalleria leggera della Chiesa?”.
I nostri traslochi sono un segno di questa malattia.
14. La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso.
Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro che minaccia l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli.
L’autodistruzione o il“fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo[15]. È il male che colpisce dal di dentro[16]; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina» (Lc 11,17).
15. E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi[17], quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste.
Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri.
Anche questa malattia fa molto male al Corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza!
E qui mi viene in mente il ricordo di un sacerdote che chiamava i giornalisti per raccontare loro – e inventare – delle cose private e riservate dei suoi confratelli e parrocchiani.
Per lui contava solo vedersi sulle prime pagine, perché così si sentiva “potente e avvincente”, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino!
Fratelli, tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a livello individuale sia comunitario.
Occorre chiarire che è solo lo Spirito Santo – l’anima del Corpo Mistico di Cristo, come afferma il Credo Niceno-Costantinopolitano: «Credo… nello Spirito Santo, Signore e vivificatore» – a guarire ogni infermità.
È lo Spirito Santo che sostiene ogni sincero sforzo di purificazione e ogni buona volontà di conversione. È Lui a farci capire che ogni membro partecipa alla santificazione del corpo e al suo indebolimento. È Lui il promotore dell’armonia[18]: “Ipse harmonia est”, dice san Basilio.
Sant’Agostino ci dice: «Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né guarirsi»[19].
La guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura[20].
Dunque, siamo chiamati – in questo tempo di Natale e per tutto il tempo del nostro servizio e della nostra esistenza – a vivere «secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,15-16).
Cari fratelli!
Una volta ho letto che i sacerdoti sono come gli aerei: fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano.
Molti criticano e pochi pregano per loro.
È una frase molto simpatica ma anche molto vera, perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a tutto il corpo della Chiesa.
Dunque, per non cadere in questi giorni in cui ci prepariamo alla Confessione, chiediamo alla Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, di sanare le ferite del peccato che ognuno di noi porta nel suo cuore e di sostenere la Chiesa e la Curia affinché siano sane e risanatrici; sante e santificatrici, a gloria del suo Figlio e per la salvezza nostra e del mondo intero.
Chiediamo a Lei di farci amare la Chiesa come l’ha amata Cristo, suo figlio e nostro Signore, e di avere il coraggio di riconoscerci peccatori e bisognosi della sua Misericordia e di non aver paura di abbandonare la nostra mano tra le sue mani materne.
Tanti auguri di un santo Natale a tutti voi, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori.
E, per favore, non dimenticate di pregare per me!
Grazie di cuore!
[1] Egli afferma che la Chiesa, essendo mysticum Corpus Christi, «richiede anche una moltitudine di membri, i quali siano talmente tra loro connessi da aiutarsi a vicenda. E come nel nostro mortale organismo, quando un membro soffre, gli altri risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche aiuto agli altri, offrendosi scambievolmente collaborazione, sia per mutuo conforto sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il Corpo … un Corpo costituito non da una qualsiasi congerie di membra, ma deve essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una retta disposizione e coerente unione di membra fra loro diverse» (Enc. Mystici Corporis, Parte Prima: AAS 35 [1943], 200).
[2] Cfr Rm 12,5: «Così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri».
[3] Cost. dogm. Lumen gentium, 7.
[4] Da ricordare che “il paragone della Chiesa con il corpo illumina l’intimo legame tra la Chiesa e Cristo. Essa non è soltanto radunata attorno a Lui; è unificata in Lui, nel suo Corpo. Tre aspetti della Chiesa-Corpo di Cristo vanno sottolineati in modo particolare: l’unità di tutte le membra tra di loro in forza della loro unione a Cristo; Cristo Capo del corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo” Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, N. 789 e 795.
[5] Cfr. Evangelii Gaudium, 130-131.
[6] Gesù più volte aveva fatto conoscere l’unione che i fedeli debbono avere con Lui: “Come il tralcio non può portar frutto da sé stesso se non rimane unito alla vite, così neanche voi, se non rimarrete uniti in Me. Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15, 4-5).
[7] Cfr. Pastor Bounus Art. 1 e CIC can. 360.
[8] Cfr. Evangelii Gaudium, 197-201.
[9] Benedetto XVI Udienza Generale, 01 Giugno 2005.
[10] Francesco, Omelia Santa Messa in Turchia, 30 novembre 2014.
[11] Cfr. Evangelii Gaudium, 95-96.
[12] Ibid, 84-86.
[13] Ibid, 2.
[14] Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire. Donami la salute del corpo e il buon umore necessario per mantenerla. Donami, Signore, un’anima semplice che sappia far tesoro di tutto ciò che è buono e non si spaventi alla vista del male ma piuttosto trovi sempre il modo di rimetter le cose a posto. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo ingombrante che si chiama “io”. Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po’ di gioia e farne parte anche agli altri. Amen.
[16] Il Beato Paolo VI riferendosi alla situazione della Chiesa affermò di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio», Omelia di Paolo VI, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Giovedì, 29 giugno 1972. Cfr.Evangelii Gaudium, 98-101.
[17] Cfr. Evangelii Gaudium: No alla mondanità spirituale, N. 93-97.
[18] “Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli dà la vita, suscita i differenti carismi che arricchiscono il Popolo di Dio e, soprattutto,crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il Corpo di Cristo… Lo Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore” (Francesco, Omelia Santa Messa in Turchia, 30 novembre 2014).
[19] August. Serm., CXXXVII, 1; Migne, P. L., XXXVIII, 754.
[20] Cfr. Evangelii Gaudium, Pastorale in conversione, n. 25-33.
INCONTRO CON TUTTI I DIPENDENTI DELLA SANTA SEDE
E DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO, CON I RISPETTIVI FAMILIARI
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Aula Paolo VI – Lunedì, 22 dicembre 2014
È stato l’orgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli;
è l’umiltà che rende gli uomini uguali agli angeli (Sant’Agostino)
Carissimi collaboratori e collaboratrici, buongiorno!
Carissimi dipendenti della Curia – non disobbedienti della Curia, come qualcuno vi ha involontariamente definito commettendo un errore di stampa!
Poco fa ho incontrato i Capi dei Dicasteri e i Superiori della Curia Romana per i tradizionali auguri natalizi, e ora incontro voi, per esprimere a ciascuno il mio sentito ringraziamento e i miei più sinceri auguri per un vero Natale del Signore.
È un dato di fatto che la stragrande maggioranza di voi è di nazionalità italiana, perciò permettetemi di esprimere anche un particolare, e direi doveroso, ringraziamento agli italiani che lungo la storia della Chiesa e della Curia Romana hanno operato costantemente con animo generoso e fedele, mettendo al servizio della Santa Sede e del Successore di Pietro la propria singolare laboriosità e la loro filiale dedizione, offrendo alla Chiesa grandi Santi, Papi, martiri, missionari, artisti che nessuna ombra passeggera della storia potrà offuscare. Grazie tante!
Ringrazio anche le persone che provengono da altri Paesi e che lavorano generosamente in Curia, lontani dalle loro Patrie e dalle loro famiglie, rappresentando per la Curia il volto della “cattolicità” della Chiesa.
Avendo rivolto un discorso ai Superiori della Curia Romana, paragonandola a un Corpo che cerca sempre di essere più unito e più armonioso per rispecchiare, in un certo senso, il mistico Corpo di Cristo, ossia la Chiesa, vi esorto paternamente a meditare quel testo facendone spunto di riflessione per un fruttuoso esame di coscienza, in preparazione al Santo Natale e all’Anno Nuovo.
Vi esorto anche ad accostarvi al Sacramento della Confessione con animo docile, a ricevere la misericordia del Signore che bussa alla porta del nostro cuore, nella gioia della famiglia!
Non ho voluto far passare questo mio secondo Natale a Roma senza incontrare le persone che lavorano nella Curia; senza incontrare le persone che lavorano senza farsi vedere e che si definiscono ironicamente “gli ignoti, gli invisibili”: i giardinieri, gli operai della pulizia, gli uscieri, i capiufficio, gli ascensoristi, i minutanti… e tanti, tanti altri. Grazie al vostro impegno quotidiano e alla vostra premurosa fatica, la Curia si esprime come un corpo vivo e in cammino: un vero mosaico ricco di frammenti diversi, necessari e complementari.
Dice san Paolo, parlando del Corpo di Cristo, che «non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie – pensiamo agli occhi -; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto … Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre» (1 Cor 12, 21-25).
Carissimi collaboratori e collaboratrici della Curia, pensando alle parole di san Paolo e a voi, cioè alle persone che fanno parte della Curia e che la rendono un Corpo vivo, dinamico e ben curato, ho voluto scegliere la parola “cura” come riferimento di questo nostro incontro.
Curare significa manifestare interessamento solerte e premuroso, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività, verso qualcuno o qualcosa; significa guardare con attenzione a colui che ha bisogno di cura senza pensare ad altro; significa accettare di dare o di ricevere la cura.
Mi viene in mente l’immagine della mamma che cura il suo figlio malato, con totale dedizione, considerando come proprio il dolore di suo figlio. Lei non guarda mai l’orologio, non si lamenta mai di non aver dormito tutta la notte, non desidera altro che vederlo guarito, costi quello che costi.
In questo tempo trascorso in mezzo a voi ho potuto notare la cura che riservate al vostro lavoro, e per questo vi ringrazio tanto.
Tuttavia, permettetemi di esortarvi a trasformare questo Santo Natale in una vera occasione per “curare” ogni ferita e per “curarsi” da ogni mancanza.
Per questo vi esorto a:
- curare la vostra vita spirituale, il vostro rapporto con Dio, perché questa è la colonna vertebrale di tutto ciò che facciamo e di tutto ciò che siamo. Un cristiano che non si nutre con la preghiera, i Sacramenti e la Parola di Dio, inevitabilmente appassisce e si secca. Curare la vita spirituale;
- curare la vostra vita famigliare, dando ai vostri figli e ai vostri cari non solo denaro, ma soprattutto tempo, attenzione e amore;
- curare i vostri rapporti con gli altri, trasformando la fede in vita e le parole in opere buone, specialmente verso i più bisognosi;
- curare il vostro parlare, purificando la lingua dalle parole offensive, dalle volgarità e dal frasario di decadenza mondana;
- curare le ferite del cuore con l’olio del perdono, perdonando le persone che ci hanno ferito e medicando le ferite che abbiamo procurato agli altri;
- curare il vostro lavoro, compiendolo con entusiasmo, con umiltà, con competenza, con passione, con animo che sa ringraziare il Signore;
- curarsi dall’invidia, dalla concupiscenza, dall’odio e dai sentimenti negativi che divorano la nostra pace interiore e ci trasformano in persone distrutte e distruttive;
- curarsi dal rancore che ci porta alla vendetta, e dalla pigrizia che ci porta all’eutanasia esistenziale, dal puntare il dito che ci porta alla superbia, e dal lamentarsi continuamente che ci porta alla disperazione. Io so che alcune volte, per conservare il lavoro, si sparla di qualcuno, per difendersi. Io capisco queste situazioni, ma la strada non finisce bene. Alla fine saremo tutti distrutti tra noi, e questo no, non serve. Piuttosto, chiedere al Signore la saggezza di saper mordersi la lingua a tempo, per non dire parole ingiuriose, che dopo ti lasciano la bocca amara;
- curare i fratelli deboli: ho visto tanti begli esempi tra di voi, in questo, e vi ringrazio, complimenti! Cioè, curare gli anziani, i malati, gli affamati, i senzatetto e gli stranieri perché su questo saremo giudicati;
- curare che il Santo Natale non sia mai una festa del consumismo commerciale, dell’apparenza o dei regali inutili, oppure degli sprechi superflui, ma che sia la festa della gioia di accogliere il Signore nel presepe e nel cuore.
Curare. Curare tante cose. Ognuno di noi può pensare: “Qual è la cosa che io devo curare di più?”. Pensare questo: “Oggi curo questo”.
Ma soprattutto curare la famiglia! La famiglia è un tesoro, i figli sono un tesoro. Una domanda che i genitori giovani possono farsi: “Io ho tempo per giocare con i miei figli, o sono sempre impegnato, impegnata, e non ho tempo per i figli?”.
Vi lascio la domanda. Giocare con i figli: è tanto bello. E questo è seminare futuro.
Carissimi collaboratori e collaboratrici,
immaginiamo come cambierebbe il nostro mondo se ognuno di noi iniziasse subito, e qui, a curarsi seriamente e a curare generosamente il proprio rapporto con Dio e con il prossimo; se mettessimo in pratica la regola d’oro del Vangelo, proposta da Gesù nel Discorso della montagna: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti» (Mt 7,12); se guardassimo all’altro, specialmente al più bisognoso, con gli occhi della bontà e della tenerezza, come Dio ci guarda, ci aspetta e ci perdona; se trovassimo nell’umiltà la nostra forza e il nostro tesoro! E tante volte abbiamo paura della tenerezza, abbiamo paura dell’umiltà!
Questo è il vero Natale: la festa della povertà di Dio che annientò se stesso prendendo la natura di schiavo (cfr Fil 2,6); di Dio che si mette a servire a tavola (cfr Mt 22,27); di Dio che si nasconde agli intelligenti e ai sapienti e che si rivela ai piccoli, ai semplici e ai poveri (cfr Mt 11,25); del «Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Mc 10,45).
Ma è soprattutto la festa della Pace portata sulla terra dal bambino Gesù: «Pace fra cielo e terra, pace fra tutti i popoli, pace nei nostri cuori» (Inno liturgico); la pace cantata dagli Angeli: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà»(Lc 2,14).
La pace che ha bisogno del nostro entusiasmo, della nostra cura, per riscaldare i cuore gelidi, per incoraggiare le anime sfiduciate e per illuminare gli occhi spenti con la luce del volto di Gesù!
Con questa pace nel cuore vorrei salutare voi e tutti vostri famigliari. Anche a loro desidero dire grazie e dare un abbraccio, soprattutto ai vostri figli e specialmente a quelli più piccoli!
Non voglio finire queste parole di augurio senza chiedervi perdono per le mancanze, mie e dei collaboratori, e anche per alcuni scandali, che fanno tanto male. Perdonatemi.
Buon Natale e, per favore, pregate per me!
Preghiamo la Madonna: Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con Te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.