L’altare punico al Monte Pellegrino
(di Girolamo Mazzola*)
È veramente lunga e complessa la storia religiosa di Montepellegrino (chiamato Bulkrin dagli arabi e Peregrinus dai romani), montagna sacra da sempre considerata punto focale del simbolismo religioso e della fusione di componenti mitologici culturali e dottrinari delle varie religioni che si sono alternate o sono coesistite fin dalla notte dei tempi nella nostra città di Palermo.
Il monte ha accolto infatti tutti questi elementi e le relative tracce di edifici religiosi ed è come fosse esso stesso un tempio di pietra, un Kronion (dal dio Kronos di origine cartaginese). Fu sede indubbia dell’antico culto di Tanit, dea punica della fertilità e di altri culti di volta in volta assorbiti dall’ambito religioso cristiano-eremitico.
Questa sua evoluzione attraverso i tempi si deduce proprio dalla presenza dell’edicola (dal latino aedicula, diminutivo di aedes nel significato di tempio piccolo), dedicata a questa dea e di cui ancora esistono le tracce all’interno del Santuario (cfr.V. Giustolisi, Topografia Storia e Archeologia di Monte Pellegrino, ed. Centro Paolo Orsi, Palermo).
Di lontana derivazione egizia, si tratta di un’edicola dalla tipica forma a naos (cella del tempio nella quale si posizionava il simulacro della divinità) ed è scavata sulla parete rocciosa alla destra dell’attuale accesso, ora libero, ma un tempo stretto da un cunicolo di difficile attraversamento. La grotta infatti era quasi ermeticamente chiusa e il luogo, viste le sue caratteristiche, era servito nei secoli per ospitare diverse inumazioni (come era prassi abitudinaria per le tombe all’interno degli edifici di culto, almeno fino al 1700).
Davanti all’edicola punica, la presenza di una falda acquifera di derivazione meteorica, infiltrandosi sotto le rocce, dava origine più a valle ad un piccolo specchio d’acqua chiamato poi “Gorgo di S. Rosalia”. Ciò creò le condizioni favorevoli, in origine, per dare ospitalità agli eremiti, successivamente per agevolare la costruzione della cappella e infine nell’incastonamento della costruzione dell’attuale Santuario.
Tra l’altro la presenza di questa acqua salutare, coincide con lo sviluppo di un antico culto per una ninfa idriade, successivamente traslato ad una divinità ellenica, quindi a Tanit, alla Madonna e infine a santa Rosalia.
Lo scaturire dell’acqua dal vivo della roccia è sempre stato considerato un fenomeno di natura divina, prova ne sia che ancora in epoca moderna esiste la tradizione dell’incubatio (occupazione di spazi), dormire cioè davanti alla grotta, antica pratica religiosa effettuata nelle vicinanze di pozzi e sorgenti sacre nei santuari della salute.
Ma torniamo alla nostra edicola: alcune tracce come i buchi ricavati nel vivo della roccia, ove si pensa dovessero innestarsi delle travi di sostegno, e il lungo scavo soprastante di appoggio, denotano presumibilmente la presenza di un soffitto o di una volta soprastante alla cappella e attestano la sovrapposizione all’edicola punica di una chiesetta che ospitò per un certo tempo un antico culto della Madonna (cfr. V. Giustolisi, op. cit. p.24), divenuto in seguito culto di S. Rosalia. Infatti (cfr. “Il Pitré” G. Di Giorgio, La Rosa e il Giglio n. 33 p.11), i Giurati della città nel 1180, con un atto del Senato palermitano, fecero erigere una cappella sul monte presso l’ingresso della grotta (e in effetti l’edicola che subì la trasformazione precede di alcuni metri l’ingresso vero e proprio della grotta). In un testamento del notaio Benedetto Puderico il 18 aprile 1257 una donna palermitana, certa Teofania, assegna il legato di un tarì alla chiesa di S. Rosalia, ritenuta da alcuni la cappella sul Montepellegrino, (da altri invece la chiesa presso l’Olivella); ed ancora, nel 1474, il Senato palermitano nel corso di una pestilenza (che precede quella più nota del 1624), già si rivolge alla Santa e propone, per impetrarne il soccorso, di restaurare la cappella posta sul Montepellegrino ormai diruta (cfr. P.Cannizzaro, Religionis Christianae Panormi libri sex, ms. Qq E 36 c.201, Bibl. Com.le Palermo), si tratta quasi certamente della cappella che aveva preso il posto dell’edicola punica nel 1180 e che a distanza di quasi trecento anni si era rovinata. Tutto questo a documentazione dell’evoluzione dell’edicola, nel corso dei tempi, in cappella e quindi chiesa incorporata nel Santuario.
Nel 1624, anno della tragica peste, il Senato provvede ad abbellire il luogo sacro con un altare in marmo, quattro colonne in pietra misca, la statua in marmo bianco di Carrara commissionata a Gregorio Tedeschi, quattro pilastri, quattro porte in rame e una pittura di Pietro Novelli.
Il 15 luglio del 1625, giusto un anno dopo il ritrovamento dei resti attribuiti alla Santa, il Senato palermitano stabilisce di erigere un Santuario sul Montepellegrino. Vengono abbattuti gli ultimi alberi (querce), si demoliscono con i picconi i restanti diaframmi di roccia che impediscono l’agevole accesso alla grotta, si allarga l’ingresso e viene anche livellato ed allargato il pianoro ove si progettava di far sorgere la chiesa. Infine, nel dicembre del 1625, (ASCP, Atti del Senato, vol.240/62, cc..272v.–273v.), il Senato di Palermo elegge alcuni deputati per sovraintendere alla definizione più celere della chiesa di S. Rosalia sul Montepellegrino.
La costruzione del Santuario che ingloba l’edicola-cappella, di cui abbiamo argomentato, inizia nel 1626 e viene conclusa nel 1629, anno in cui Urbano VIII conferma ufficialmente la santità della verginella eremita. Nel 1644, prende il via la costruzione di un primo piccolo convento di frati francescani dedicati, per deduzione logica, al conforto e all’assistenza di tutti quei fedeli che, per sciogliere promesse o voti, intraprendevano la lunga, faticosa salita, a piedi nudi o in ginocchio, o tormentandosi con discipline e cilici spinosi per giungere infine ad espiare dalla cara Santuzza.
*(Girolamo Mazzola: già bibliotecario e paleografo presso l’Archivio Storico comunale di Palermo e dal 2012 Archivista volontario al Santuario di S. Rosalia)